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Dal seminario alla Nueva Cancion Chilena: la breve e difficile vita di Victor Jara
Ci sono sempre delle concause che scatenano un evento. Mai una. Sempre la somma di diverse e, spesso, mai così simili da supporre che possano essere concatenabili.
Nella vita breve di Victor Jara, cantautore, musicista, regista teatrale e poeta cileno fino alla sua morte per mano dei golpisti di Pinochet, le cause che hanno determinato gli eventi della sua esistenza sono piuttosto chiare.
Intanto l’ambiente. Jara nasce in una zona depressa del Cile da un padre mai molto amato (Manuel) e da una madre (Amanda) che ha travasato in lui tutto il suo corredo genetico musicale.
Amanda è originaria del sud cileno, il suo sangue è rosso Mapuche, ama cantare e lo sa fare molto bene grazie anche ad una buona conoscenza del folklore cileno.
La chiamano per ogni ricorrenza paesana e quando ci va, si porta dietro il piccolo Victor che ascolta, assimila, impara. L’imprinting musicale nasce da qui.
La vita nei campi è dura, faticosa, povera. La famiglia Jara parte per la capitale Santiago alla ricerca di un benessere economico mai raggiunto fino a quel momento.
Qui, tra scuola e attività di quartiere, Jara si avvicina al Partito Democratico Cristiano cileno. Le attività parrocchiali lo entusiasmano tanto da indurlo ad abbandorare l’istituto commerciale e ed iscriversi al seminario dell’Ordine dei Redentoristi a San Bernardo.
Due anni dopo lo abbandona, rendendosi conto di non avere la vocazione.
Ed è una fortuna per tutti noi, perchè da quel momento inizia l’incessante lavoro creativo di Victor Jara.
Tra gruppi di ricerca, corsi, regie, cori, spettacoli, concerti, . . . la vita di Jara è un susseguirsi di interessi che spaziano in ogni settore della creatività.
E’ autore di brani indimenticabili, come “Te recuerdo Amanda” (“Ti ricordo Amanda”) e “Plegaria a un labrador” (“Preghiera ad un contadino”).
E’ direttore artistico del gruppo musicale dei Quilapayún.
Lui e Isabel Parra diventano gli esponenti della Nueva Cancion Cilena.
Quando il generale Augusto Pinochet, aiutato dagli USA, prende il potere con un golpe, assassinando il presidente cileno socialista Salvador Allende, la sorte di Victor e di altri migliaia come lui impegnati politicamente è segnata.
Cinque giorni dopo il golpe, lo arrestano e lo portano nell’Estadio Nacional de Chile. Da li nel vicino Estadio Chile dove iniziano a torturarlo, per giorni e giorni. Fino a quando lo finiscono.
Joan Jara, moglie di Victor, ha raccontato: “Siamo saliti al secondo piano, dove erano gli uffici amministrativi e, in un lungo corridoio, ho trovato il corpo di Víctor in una fila di una settantina di cadaveri. La maggior parte erano giovani e tutti mostravano segni di violenze e di ferite da proiettile. Quello di Víctor era il più contorto. Aveva i pantaloni attorcigliati alle caviglie, la camicia rimboccata, le mutande ridotte a strisce dalle coltellate, il petto nudo pieno di piccoli fori, con un’enorme ferita, una cavità, sul lato destro dell’addome, sul fianco. Le mani pendevano con una strana angolatura e distorte; la testa era piena di sangue e di ematomi. Aveva un’espressione di enorme forza, di sfida, gli occhi aperti.”
Rimane nella mente un’ultima strofa che Victor Jara ha scritto proprio nello stadio di Santiago del Cile, poco prima di essere ucciso.
Pete Seeger l’ha tradotta in inglese e musicata con il titolo di “Estadio Chile“
“Canto, come mi vieni male
quando devo cantare la paura!
Paura come quella che vivo,
come quella che muoio, paura
di vedermi fra tanti, tanti
momenti dell’infinito
in cui il silenzio e il grido
sono le mete di questo canto.
Quello che vedo non l’ho mai visto.
Ciò che ho sentito e che sento
farà sbocciare il momento… “