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Roma Jazz Festival 2017 – Jazz Is My Religion

Il titolo del festival, “Jazz Is My Religion”, è tratto da una poesia dello scrittore americano Ted Joans e sulle sue liriche il festival vuol celebrare il jazz come una grande musica che, secondo le parole del direttore generale Unesco Irina Bokova, veicola “un messaggio universale di pace, che armonizza ritmo e significato, che porta valori significativi per ogni uomo e donna, che fornisce opportunità uniche per la comprensione reciproca, attraverso l’ascolto, la riproduzione, l’improvvisazione”. Un messaggio tanto più urgente in tempi come i nostri, nei quali la religione sembra diventata sinonimo di divisione, più che di unità, e di odio, più che di amore universale.

Allo stesso tempo, il programma è anche una celebrazione di molte date significative nella storia di questa splendida musica: i cent’anni dalla pubblicazione del primo disco di jazz, il centenario dalla nascita di Thelonious Monk, Ella Fitzgerald e Dizzy Gillespie, il cinquantenario della scomparsa di John Coltrane. Personaggi dotati di grande carisma, spiritualità ed umanità.

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Il programma

5 novembre, Chick Corea / Vinnie Colaiuta Quartet
In qualunque elenco dei pianisti jazz più influenti degli ultimi cinquant’anni, Armando “Chick” Corea è una presenza inevitabile. Non c’è genere o stile che egli non abbia toccato, dalla tradizione al free fino al jazz-rock dei Return to Forever e dell’Elektric Band. Ma Corea è anche un uomo profondamente attratto dalla spiritualità, che nel suo caso ha preso la forma di Scientology. La sua adesione al culto fondato da Ron Hubbard risale a fine anni Sessanta e persino due suoi dischi, “To the Stars” e “The Ultimate Adventure”, sono ispirati a opere di Hubbard, la cui filosofia ha, secondo la sua stessa testimonianza, influenzato la sua intera concezione musicale: “Non volevo più soddisfare me stesso”, ha affermato. “Volevo veramente connettermi con il mondo e fare in modo che la mia musica significasse qualcosa per le persone”.

7 novembre – Daymé Arocena 4tet
Daymé Arocena viene da Cuba e ha solo ventiquattro anni, ma sono già in molti ad indicarla come una delle artiste più interessanti emerse negli ultimissimi tempi. Del resto, il titolo del suo disco d’esordio parla chiaro: “Nueva Era”. La voce di Daymé rappresenta il nuovo corso che l’isola caraibica sta prendendo, dopo la fine del decennale embargo e l’inizio di un nuovo periodo di speranza. Si presenta sul palco in abiti candidi, che contrastano con il nero intenso della pelle: ma non si tratta solo di estetica, bensì di motivazioni spirituali, legati alla sua adesione alla religione della santerìa (è particolarmente devota a Yemanjà, la dea del mare che rappresenta la rinascita della vita). Tra i suoi modelli, cita i musicisti cubani e brasiliani, ma anche Nina Simone ed Ella Fitzgerald. Insomma, Daymé Arocena rappresenta un ponte tra il passato e il futuro, tra il jazz e il grande oceano delle musiche di tutto il mondo.

9 novembre, Simona Molinari “Loving Ella”
Un omaggio all’artista di Newport News, Ella Fitzgerald, – una delle più famose e amate signore del Jazz, dalla voce straordinaria, potente e duttile, capace di spaziare tra i vari generi e stili, dal più puro swing, al bebop, dal blues al samba, dal gospel al calypso, con un grande talento per l’improvvisazione – da inarrivabile virtuosa dello scat. La cantante partenopea proporrà un’antologia dei brani più celebri, e racconterà alcuni dei momenti più significativi della vita di Lady Ella, un’esistenza tra luci e ombre, dagli inizi all’Apollo Theater ai Grammy Awards, agli anni della malattia – tra amori, fatidici incontri, luci della ribalta e grandi successi. “Loving Ella” nasce come tributo ad una delle artiste che più hanno influenzato – e ispirato – il percorso di Simona Molinari.

11 novembre, Tygran Hamaysan “An Ancient Observer” POSTICIPATO al 17 novembre
Il jazz, ormai, è un esperanto universale. Lo dimostra un artista come Tigran Hamasyan, armeno, classe 1987, che è riuscito a fondere il linguaggio afroamericano con la sua tradizione nativa. E così, nella sua musica, il ritmo e i fraseggi del jazz si mescolano con le scale modali e le arcane sonorità dell’Armenia. Hamasyan è un artista moderno, padrone di molti linguaggi: la musica classica, il rock (da bambino sognava di diventare un chitarrista metal), il jazz, che ha studiato in America quando aveva ancora sedici anni, persino il rap e l’hip-hop. Ma la cifra più profonda del suo stile è il legame con la sua terra, che l’ha portato a intitolare il suo ultimo disco “An Ancient Observer”, “un antico osservatore” che rappresenta il punto d’unione fra passato, presente e futuro.

12 novembre, Mulatu Astatke Band “Ethiopian Jazz”
L’Africa, grande madre ancestrale del jazz, ha prodotto di per sé pochi jazzisti. Ci sono però due grandi eccezioni: il Sud Africa e l’Etiopia, in cui il jazz ha attecchito e dato frutti. Mulatu Astatke viene dal’Etiopia, dove è nato nel 1943, ed è stato il primo africano a studiare alla Berklee, nonché a suonare con Duke Ellington. Suona il vibrafono, le percussioni, le tastiere e l’organo ed è unanimemente considerato il padre del jazz etiope. La sua musica, che ha attratto l’attenzione di moltissimi artisti di tutto i mondo, mescola il jazz, i ritmi latinoamericani e la tradizione del suo paese per creare un ibrido che è ben più della somma dei suoi elementi. Astatke è un vero maestro e, in fin dei conti, come tutti i maestri, somiglia soltanto a se stesso.

13 novembre, Adam Ben Ezra
Strabiliante contrabbassista e multi-strumentista, nato e cresciuto a Tel Aviv, Adam con quasi 10 milioni di visitatori sul suo canale di Youtube è a tutti gli effetti considerato una star del web. La sua missione è quella di portare il contrabbasso nel ventunesimo secolo: da strumento di sottofondo e accompagnamento a solista e virtuoso. Capace di passare abilmente da uno strumento all’altro nel corso di una performance, Adam crea atmosfere sonore uniche in cui unisce elementi di jazz, rock e world music con un sound affascinante, versatile e visionario. Il suo album di debutto “Can’t Stop Running” lo ha fatto conoscere al pubblico non solo come virtuoso strumentista, ma anche come compositore sensibile e, soprattutto, senza barriere musicali.

15 novembre, Lydian Sound Orchestra “To Be Or Not To Bop” Omaggio A Dizzy Gillespie
In occasione del centenario della nascita di Gillespie il maestro Riccardo Brazzale ha realizzato il programma “To Be or Not To Bop” (titolo dell’autobiografia di Gillespie) incentrato in gran parte sul repertorio di brani composti da Dizzy (A Night in Tunisia, Con Alma, Groovin High, Salt Peanuts) o tipici dei suoi programmi come la ballad “I Waited for You”. Il programma si completa con altri brani significativi del periodo bop, tratti dalle composizioni di Bud Powell, Monk, Tadd Dameron, Charlie Parker, Max Roach e George Russell, molto legato a Dizzy e autore del Lydian Chromatic Concept of Tonal Organisation.

20 novembre, Monk By Four
Due pianoforti per quattro pianisti: Kenny Barron, Dado Moroni, Cyrus Chestnut e Benny Green. Quattro maestri della tastiera che si dedicano ad esplorare la musica di Thelonious Monk, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita. Dopo cent’anni, la musica di Monk rimane ancora un mistero: obliqua, misteriosa, eppure – a suo modo – razionalmente perfetta, essa non smette di affascinare musicisti e pubblico, che da sempre cercano di penetrare le sue implacabili geometrie. Eppure, come per tanti altri musicisti afroamericani, una delle sorgenti della sua arte fu la chiesa: Monk imparò a suonare il pianoforte accompagnando i canti religiosi e il suo primo ingaggio professionale fu con una predicatrice itinerante. Se ne volete una prova, ascoltate la prima traccia del disco “Monk’s Music” (Riverside, 1957): una solenne versione dell’antico inno Abide With Me, che riemerge come una gemma dalle memorie d’infanzia di Monk.

21 novembre – Giovanni Guidi
Quando, nei primi anni Duemila, Giovanni Guidi cominciò a farsi conoscere nei gruppi “Under 21” e “New Generation” del suo mentore Enrico Rava, si poteva definire a buon titolo un enfant prodige.Nato a Foligno nel 1985, il pianista esibiva un talento sorprendente, in paragone alla giovanissima età, per di più con una scelta di modelli stilistici che sfuggiva ai soliti stereotipi per cercare linfa nelle pieghe più avanzate e creative del jazz. Oggi, Guidi non è più una giovane promessa, ma uno dei jazzisti italiani più affermati. Oltre ai lavori con Rava, ha collaborato con nomi illustri, ha diretto gruppi propri con cui si è esibito in tutto il mondo ed ha all’attivo sette dischi da leader, tre dei quali su etichetta Ecm. Niente male, per un musicista di soli trentadue anni. A Roma, Giovanni Guidi si presenta con un progetto originale, intitolato “Angeli e demoni”. State sicuri che saprà sorprenderci ancora una volta.

23 novembre, Omar Sosa Trio
Omar Sosa viene da Cuba, e Cuba significa, fra tante altre cose, anche Santeria: il culto sincretistico nel quale i rituali cattolici si fondono, senza soluzione di continuità, con gli antichi dèi africani del popolo Yoruba. Sosa è un adepto della Santeria, il cui complesso mondo spirituale si riflette nella sua musica. Ma Sosa è anche un artista cosmopolita: ha vissuto in Ecuador, Stati Uniti e Spagna, ha studiato la musica classica, la world music, si interessa di elettronica e di rap. E la sua musica è una potente mistura di tutti questi elementi. Che si esibisca da solo, o con un piccolo gruppo, o con una big band, Omar Sosa sa sempre far sì che la sua arte sfugga a qualsiasi definizione, per abbracciare con uno sguardo ampio e partecipe tutte le culture del mondo.

25 novembre – Ezra Collective (prima assoluta)
“Poiché Esdra aveva applicato il cuore allo studio ed alla pratica della legge dell’Eterno, e ad insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine”, dalla Bibbia, Esdra Capitolo 7. Con questa ispirazione filosofica la band ha tratto l’insegnamento per andare sempre avanti con tenacia, senza mai guardare indietro. Questi giovani strumentisti, capitanati dall”enfant prodige Femi Koleoso, hanno dato vita a un collettivo che riprende la musica di Sun Ra e del periodo Spiritual jazz interpretandola in chiave contemporanea. Vincitori nel 2012 del Yamaha Jazz Experience Competition, e messisi in luce con una serie di acclamate apparizioni dal vivo come alla Royal Albert Hall, London Jazz Festival e Worldwide Awards 2017, sono oggi considerati da molti come una delle migliori promesse della nuova scena Contemporary Jazz.

26 novembre, Fabrizio Bosso Spiritual Trio “Jazz e Gospel”
Se si va a guardare il curriculum di Fabrizio Bosso, si stenta a credere che sia quello di un musicista poco più che quarantenne. In attività fin dalla metà degli anni Novanta, dirige gruppi propri da quasi vent’anni e può vantare una sfilza di collaborazioni con tutti i più importanti nomi italiani e mondiali. Soprattutto, Fabrizio Bosso non si è mai posto limiti stilistici: impeccabile se c’è da suonare jazz, non si fa alcun problema a farsi accompagnare da un’orchestra sinfonica, o ad affiancare un artista pop, o persino ad apparire sul palcoscenico di Sanremo, dove si è esibito numerose volte con Sergio Cammariere, Raphael Gualazzi, Nina Zilli e Simona Molinari. Insomma, la sensazione è che, a quarantacinque anni, Bosso abbia soltanto iniziato a sorprenderci.

28 novembre, Cory Henry Group “The Funk Apostles”
Alla base del jazz c’è il blues, certo. Ma non dimentichiamoci che altrettanto importante è la musica che si suonava (e cantava) nelle chiese, dove moltissimi jazzisti mossero i primi passi sui propri strumenti. Quindi, tra i genitori del jazz vanno senz’altro annoverati gli spiritual e il gospel. Cory Henry, newyorkese nato nel 1987, è l’ultimo anello di questa lunga tradizione. Pianista e organista jazz, ma anche praticante del gospel, del soul e del funk, può vantare due dischi da leader e tre Grammy Awards, oltre alla collaborazione negli Snarky Puppy, l’ensemble autogestito che è una delle più elettrizzanti novità emerse nel jazz dell’ultimo decennio. Cory Henry è il prototipo di un musicista moderno, che però non dimentica mai le proprie radici.

29 novembre, Francesco Bearzatti Trio Dear John
Francesco Bearzatti ci ha abituato ad aspettarci l’imprevisto. Nel corso della sua carriera, ogni nuovo progetto ha costruito immagini inaspettate e sorprendenti: Thelonious Monk mescolato al rock’n’roll, una suite dedicata alla fotografa Tina Modotti, il sax che viene filtrato dall’elettronica fino a trasformarsi in una chitarra elettrica. Stavolta, ha scelto di rendere omaggio a John Coltrane, a cinquant’anni dalla morte, ma lo ha fatto a modo suo, scrivendo una lettera aperta al grande sassofonista. La formazione è un trio sax-batteria-Fender, che richiama le sonorità del soul-jazz e del rhythm’n’blues: quelle, guardacaso, con cui Coltrane esordì e crebbe, prima di lanciarsi nell’esplorazione del suo mondo musicale e spirituale. Lo accompagnano Roberto Gatto, musicista che non ha certo bisogno di presentazioni, e il francese Benjamin Moussay, un artista abituato a incrociare mondi sonori diversi, dal jazz alla classica, fino al rock e all’elettronica.

30 novembre, New Talents Jazz Orchestra, Coro Conservatorio di S. Cecilia “Sacred Concert- Duke Ellington”
New Talents Jazz Orchestra
Coro Conservatorio di Santa Cecilia
Duke Ellington scrisse nel corso della sua carriera a partire dal ’65 e fino agli ultimi anni di vita tre concerti sacri per big band, coro e voci soliste. I concerti gli furono commissionati da alcune chiese ed istituzioni. Ellington ha sempre considerato la musica di questi concerti come la più importante e impegnativa da lui mai scritta. Nello spirito e nella prassi Ellingtoniana New Talents Jazz Orchestra e Coro del Conservatorio di Santa Cecilia presentano un programma di brani appartenenti ai tre concerti. L’esecuzione filologica delle musiche, si baserà sui manoscritti di Ellington conservati allo Smithsonian Institute di Washington trascritti ed editi da Schirmer/Ricordi.

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