Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Gender Fluid

“Words for Freedom”: diritti civili, libertà e uguaglianza nel nuovo album dei Kimeia

Esordio con un messaggio forte per Kimeia, band bergamasca in cui la maggior parte degli elementi non ha ancora raggiunto i 30 anni. Sonorità moderne che accompagnano una voce capace di reinterpretare alcuni standard jazz con arrangiamenti originali accattivanti che strizzano l’occhio al soul, al pop, al funky nel nuovo album “Words for Freedom“.

L’idea di porre l’attenzione alla forza delle parole contenute nelle canzoni, nasce alla fine dell’estate 2019. A tal proposito Alessia Marcassoli, vocalist e ideatrice del progetto dice: “Dare voce a chi non può farlo è una cosa che sento particolarmente, e utilizzare parole di autori che ho potuto scegliere personalmente mi appassiona. Se pensiamo alla nascita del Blues, il canto tradizionale degli schiavi nel Sud degli Stati Uniti, capiamo che il canto è uno dei modi che abbiamo per dire cose e mandare messaggi più o meno velati. Anche oggi. Ecco, io penso che avere un messaggio da lanciare sia fondamentale, in ogni cosa che facciamo“.

Marco Scotti, saxofonista e sostenitore del progetto dall’inizio: “L’idea di Alessia coincide con quella che è da tempo la mia e che ha caratterizzato una parte del mio lavoro: avere un’idea appunto, un messaggio, un focus attorno a cui ruota una performance, un concerto o addirittura un disco che potremmo definire concept album, dal mio punto di vista è un valore aggiunto al lavoro che va oltre le abilità dei singoli ed amalgama il progetto in modo differente“.

Gli arrangiamenti collocano l’album in un’area dalle forti contaminazioni, dove la parola “evocativo” è forse il leit motif di tutto il lavoro.

La formazione è composta dalla giovanissima e solida bassista Chiara Arnoldi, che si destreggia tra cinque e sei corde, si prende il suo spazio raccontandoci una vera e propria storia e ricordandoci che anche il basso può diventare lirico; il pianista Alex Crocetta, che si siede ora al pianoforte acustico ora alla tastiera con estrema naturalezza, accompagnando ed improvvisando con destrezza e quella giusta vena melodica un pò mediterranea che lo contraddistingue; Lorenzo Beltrami alle percussioni, alla batteria, ai suoni digitali che coadiuvano la sezione ritmica, appare solido e molto musicale, giocando con mani e bacchette su un set di batteria dai suoni a tratti molto originali. Marco Gotti Jr e Marco Scotti sono rispettivamente sax tenore e contralto della formazione e si possono ascoltare in sezione, poderosa o morbida ed in assoli dai toni jazzy e anche un pò funky. Alessia Marcassoli, giovane cantante ma con solide basi, interpreta le canzoni che ha scelto di cantare, ce le presenta in un racconto pieno di pathos, in equilibrio tra l’essere suadente e ricordare con forza il messaggio che il disco intero vuole trasmettere: “se non ci sono libertà, uguaglianza e pari diritti umani e di genere, non si può parlare di civiltà evoluta”.

PRESENTAZIONE DEI BRANI DI “KIMEIA – WORDS FOR FREEDOM

1) FOUR WOMEN di Nina Simone apre il disco con forza, prepotenza, raccontando le storie di quattro donne, esempi dell’evoluzione della donna nera nella società dei bianchi. Ritmiche che crescono e si affievoliscono in base ai racconti delle protagoniste Marco Scotti al sax contralto in un poderoso assolo dai toni funky. Alessia Marcassoli, cantante, ci racconta: “Zia Sarah, considerata non degna del titolo di “Madame” (di “Signora”) è la donna nera che vive in silenzio la sua schiavitù. Saffronia è la ragazza afroamericana dalla pelle “gialla”, proviene dall’unione di due mondi segregati, quello “bianco” e quello “nero”. Sweet Thing è la donna mulatta che per ottenere una vita dignitosa diviene schiava dei capricci dell’uomo bianco. Peaches è l’eredità della schiavitù delle sue antenate; i suoi modi sono bruschi e la sua vita è stata dura, è l’incarnazione di una protesta afroamericana”.

2) WORK SONG, ancora un brano di Nina Simone, coi fiati che disegnano un’introduzione colorata e morbida, aprono alla suadente voce di Alessia Marcassoli e la accompagnano in un ritornello che induce alla speranza, per poi lanciarsi in un inseguimento guidato dal tenore caldo di Marco Gotti Jr. Le ritmiche di Lorenzo Beltrami scivolano dalle percussioni alla batteria, sopra cui la vocalist racconta interpretando personalmente quello che la grande cantante afroamericana ha portato avanti con forza: liberarsi dalle catene diventa l’esigenza di un popolo sottomesso.

3) I WISH I KNEW HOW è un altro brano della formidabile Nina Simone, baluardo della lotta portata avanti grazie a parole e musica. Qui la scelta della band è quella di virare su ritmiche latin, grazie all’arrangiamento accattivante di Torcuato Mariano, chitarrista argentino cresciuto in Brasile. “Vorrei sapere cosa si prova ad essere liberi” viene quindi giocata tra bossa e samba, dove il percussionista sembra trovarsi a proprio agio.

4) MOANIN’ pensata in una modalità forse più rock di quanto Art Blakey ed i Jazz Messengers insegnavano, dove gli stacchi dei fiati dettano il tempo con forza come a sottolineare il dolore che Sarah Vaughn ci raccontava, con la Marcassoli che trova la giusta dimensione per farlo suo e ricordarci che forse, senza sofferenza non si ottiene nulla. Un assolo di Marco Gotti Jr completa il brano.

5) STRANGE FRUIT, una ballad struggente, carica di tensione e rivendicazione, sostenuta da un loop di suoni che permettono all’ascoltatore di immergersi in un’atmosfera cupa: quella di una Società che non avrebbe mai dovuto esistere. La band è qui in versione quartetto. Ed ancora un racconto, questa volta di Marco Scotti: “Un paesaggio pastorale, che profuma di magnolia, nel sud degli Stati Uniti. In questa scena, Abel Meeropol, nel 1939, decide di immergere le sue più dure parole di denuncia. Parole che dipingono cruentemente anni di violenti trattamenti che la sua stessa America ha inflitto alla popolazione dalla pelle nera. Il poeta e compositore americano, un giorno si sedette al pianoforte del Cafè Society di New York, uno dei pochi locali che permetteva anche alla gente di colore di entrare, e suonò queste parole per la cantante Billie Holiday, che ancora non sapeva che sarebbe diventata la voce e il volto di questa denuncia. “

6) COME SUNDAY, un brano di Duke Ellington tratto dalla famosa suite “Black, Brown and Beige” completamente rivisto dalla band. Ritmiche drum & bass molto serrate si alternano a momenti di solo voce e fiati che sembrano fluttuare nell’etere; un solo di basso di Chiara Arnoldi disegna un paesaggio bucolico ed introduce il solo di piano che i fiati solleticano citando “Satin doll” (sempre del Duca di Harlem); poi è un pò come essere richiamati con forza al momento di riflessione spirituale, come a trovare la forza di lottare in qualcuno o qualcosa che sta sopra di noi.

7) LOST IN THE STARS, una ballad eseguita in duo: Alessia Marcassoli ed Alex Crocetta, per immergerci in una dimensione antica ma attuale, dove un pianoforte abilmente accarezzato, crea un tappeto di rara qualità su cui lasciarsi andare cullati dalla morbidezza di una voce sensuale. Alessia racconta: “Judy Garland che la interpretò più volte, prima di cantarla, diceva: “Alcune delle più belle poesie scritte in America le ritroviamo nei testi delle canzoni popolari. In questo caso è come se Maxwell Anderson volesse spiegare l’universo e la sua creazione a un piccolo bambino, in modo semplice”. Anderson ci racconta delle persone dalla pelle nera come di un piccolo grande popolo, perduto fra le stelle, in cerca della propria strada per tornare a casa, per recuperare la propria identità, anche grazie alle parole della musica”.

8) SOWETO BLUES, toni africani rivisti dalla formazione, per un brano di denuncia di avvenimenti che non andrebbero mai dimenticati. Qui i ragazzi si sono divertiti registrando le loro voci creando un coro colorato e morbido su cui un’improvvisazione della cantante si appoggia. Ancora un racconto: “E così la musica, il Jazz, prendono spazio nelle lotte sociali e politiche, e non solo in quelle afroamericane. Anche in altri paesi, negli stessi anni, andavano formandosi cruente ideologie razziali e segregazioniste. In Sud Africa, tale politica fu istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca. Oggi il Jazz, anche all’interno della storia sud africana, è considerato un racconto, capace di riportare in vita le prime politiche di resistenza anti-apartheid. La cantante Miriam Makeba è considerata tra le “madri” della lotta contro la segregazione razziale in Sud Africa. La sua musica ha la forma di un grande manifesto di denuncia che riesce, allo stesso tempo, ad abbracciare il popolo che rappresenta, ispirando ottimismo e autoespressione, anche nei tempi più bui”.

Kimeia - Words for Freedom
Wolfgang's